Berlino: Brandeburgo, ultima fermata
Negli anni ottanta, quando ero un giovane autonomo, la città in cui volevo abitare era Berlino: per noi era un luogo politicamente vivo dove scorreva una grande energia creativa e di contestazione.
Ci sono andato quasi sessantenne e ho trovato una città poco rumorosa, relativamente pulita, con una crisi che emerge dalle decine di negozi chiusi, molti giovani che rovistano nella spazzatura.
Una città sospesa, in attesa, un non-luogo dove il passato che pesa e scotta di più è quello dell’ex Ddr, più che quello del nazismo.
È piena di musei a tema, a volte quasi fatti in casa, abbozzati, sulle vicende del Muro e della sua caduta.
La narrazione di questa ferita permanente sta nella descrizione della Torre Della Televisione, costruita dai sovietici nel 1965 e alta 368 metri, come un totem da non superare, sia in potenza che come limite, e che oggi fa un milione di visitatori all’anno. La mia guida turistica la liquida scrivendo: non è una grande opera architettonica e la punta vista da lontano, quando illuminata dal sole, sembra una croce; perciò è stata chiamata “la vendetta dei Papi”.
Qui ho capito che la tensione verso quel passato è ancora attuale: chi l’ha costruita viene indicato come un senza Dio, un barbaro.
Alla Porta di Brandeburgo mi è diventato tutto ancora più chiaro: il monumento a prima vista non è meraviglioso ma se ne percepisce subito la potenza. È una porta che attraversa due mondi, tra Ovest ed Est.
Non a caso in questi mesi vi è stato allestito un palco permanente dove artisti ucraini e politici si esibiscono. Intorno tanta polizia ed energumeni ucraini con in mano la bandiera giallo-azzurra.
Attraversata la porta, la città prende forma: non è più una distesa di capannoni, case dormitorio e grattacieli di vetro. Qui ho avuto la sensazione di stare dentro la Storia, sensazione cui gli appassionati come me ambiscono, quasi come un’euforia per aver compreso il motivo di qualcosa che attrae la mia attenzione da tre anni: la guerra Russo-Ucraina.
Quella guerra parte da lontano e andrà lontano; la Germania senza un espansione ad est non può andare altrove e ferma da lì può ammirare solo la torre della televisione, lasciata dai sovietici a monito.
E non a caso la porta è occupata in modo permanente dagli ucraini di Kiev, che combattono una guerra per procura. La Germania non ha subito la guerra come pensavo ma l’ha preparata, per poi essere fregata dagli americani che l’hanno privata dal gas russo facendole saltare i gasdotti sul mare che collegavano Germania e Russia.
A Bruxelles quella dirigenza tedesca che vede la crisi incombere, e non ha l’est più a disposizione come terra di conquista, si prepara ad armarsi, a recuperare 800 miliardi dai nostri conti correnti per comprare armi.
Ma se l’Est è chiuso, verso dove si può intravedere un possibile sbocco se non nel mediterraneo? Forse quelle armi serviranno alla Germania per rivolgerle contro di noi, oltre a scatenare una guerra contro la Russia.
Chi è sceso in piazza il 15 Marzo appoggia questo progetto RearmEU, 800 miliardi con i soldi sottratti dalla Von der Leyen dai nostri conti correnti. Armeremo con i nostri soldi il nostro nemico storico, naturale, la Germania per giunta alle strette e alle corde.
Costruiremo un’Europa in armi, che storicamente le ha sempre usate nel suo perimetro aggredendosi tra Stati e aggredendo all’esterno.
Non a caso la NATO e il Patto di Varsavia, per garantire un periodo di 40 anni di pace, si assicurarono che non avessimo nemmeno un fucile in casa che potessimo usare senza il loro permesso.
Il paese dopo il 15 Marzo si è diviso in due ed è l’unica divisione che avrà un valore: essere di destra e di sinistra non avrà più nessun valore, ci sarà chi si prepara a una guerra e partecipa a quella piazza e chi non la vuole.
Quindi da quel punto si divideranno per sempre molte strade politiche ed amicizie.
La guerra non è il nulla ma è tutto l’agire politico, vuol dire riempiere cimiteri belli ordinati di tante bandierine con lavoratori a riempirle pagate con i soldi del welfare di questi ultimi, e questi non sono punti di vista ma visioni che negano la vita stessa. E alla Porta di Brandeburgo questo l’ho capito profondamente nel mio animo.