Li trovò una vicina di casa, una accanto all’altro, nello scantinato di via Calatafimi a Civitanova Marche, il 5 aprile 2013. Dopo una vita di duro lavoro e sacrifici, Anna Maria Sopranzi – 68 anni – e Romeo Dionisi – 62 – sceglievano di morire assieme, piuttosto che sopportare la vergogna di non avere un lavoro o una pensione, di vivere di aiuti statali. Il fratello di Anna Maria, Giuseppe Sopranzi, alla notizia si gettò in mare per la disperazione. Fu la terza vittima di quel dramma provocato dalla crisi dello spread e dalle misure di austerity adottate dal governo Monti su indicazione dell’UE, in nome della politica di debito zero.

Purtroppo non fu un episodio isolato. Nel 2012 quasi 200 persone si tolsero la vita a causa di problemi economici: imprenditori, lavoratori in cassa integrazione, disoccupati, esodati. La riforma delle pensioni di Elsa Fornero aveva prodotto almeno 65.000 esodati, 390mila secondo alcune stime interne dell’INPS.

L’Unione Europea, quella stessa Unione Europea definita da Benigni la più grande costruzione umana degli ultimi 5000 anni, non riuscì o non volle adottare quelle misure necessarie a tutelare la dignità e i diritti sociali dei suoi cittadini. La priorità era il rigore dei conti.

Quelle stesse istituzioni oggi invece vogliono ricorrere proprio al debito per riarmare l’Europa. In 4 anni saranno spesi 800 miliardi di euro per la difesa e per la riconversione industriale delle fabbriche. La logica sottostante queste decisioni politiche è che esiste una spesa pubblica buona – i debiti per comprare armi – ed una spesa pubblica cattiva: la sanità, l’istruzione, il welfare in generale.

Per convincere l’opinione pubblica che è meglio investire in carri armati e obici piuttosto che in asili, libri e cure per tutti è stata schierata l’intelligenzia di regime, impegnata a spiegarci che la guerra è bella, che solo noi abbiamo la cultura, solo noi abbiamo la democrazia. Dobbiamo rinunciare ai “nostri privilegi” (come li chiamano) e difendere l’Europa. Se il caso anche sul campo di battaglia.

Per difenderci, invece, è necessario smantellare questo linguaggio di guerra, disinnescare l’odio e la paura di cui è pregno, smascherare le sue menzogne, abbandonare questo schifoso suprematismo bianco eurocentrico che ci portiamo dietro dai tempi delle crociate.

1) Se vogliamo la pace dobbiamo preparare la pace, chi prepara la guerra vuole la guerra. La nostra costituzione nata dalla resistenza antifascista ripudia la guerra in maniera assoluta. Le idee di militarizzazione e di riarmo non hanno diritto di cittadinanza nella nostra democrazia.

  1. Non abbiamo nessun nemico alle porte, non abbiamo nessuno stato ostile pronto ad invaderci. La nostra deterrenza non sono gli eserciti o i missili, ma la diplomazia e i rapporti di buon vicinato. L’Italia è il cuore del mediterraneo e deve essere un ponte tra tre continenti, non una piattaforma militare. La nostra stabilità e la nostra ricchezza possono venire solo dalla pace e dall’amicizia fra i popoli di tutta la regione.

3) La guerra non ha nulla di epico, non ha nulla di eroico. Chi dice il contrario non sa di cosa parla. Non c’è nulla di eroico nel restare dentro un buco per giorni, sotto un muro di fuoco d’artiglieria, tra i topi della trincea e i brandelli degli altri soldati che si decompongono nel fango. Non c’è nulla di epico o di eroico nella leva militare, che trasforma un essere umano in carne da cannone. La guerra non è un film di Hollywood, la guerra è orrore e genocidio come quello in corso in Palestina.

4) Il riarmo e la riconversione militare delle industrie non garantiranno affatto la pace. È esattamente il contrario: produrre armi porterà all’implementazione di un sistema di guerra. Per mantenere i livelli di produzione, missili e carri armati dovranno essere usati, generando una spirale bellica.

  1. La nostra cultura millenaria va usata per trovare soluzioni di pace, di convivenza democratica, per distruggere i pregiudizi e difendere i diritti di tutte e tutti. Marx, Socrate e Spinoza li calpestiamo se li menzioniamo per vantare una superiorità su altri popoli – come ha fatto Vecchioni dalla piazza del 15 marzo – per giustificare le nostre politiche militariste e neocoloniali.

Mai in questo momento è necessario ribaltare le logiche di governo: non un euro per le armi, non un euro per Lockheed Martin, Northrop Grumman, Rheinmetall, Leonardo. I soldi pubblici devono essere restituiti alla società sotto forma di sanità, scuola, formazione, asili, investimenti per l’edilizia popolare, ambiente e per la modernizzazione delle infrastrutture. L’unica spesa pubblica buona è la spesa pubblica per il welfare, non per la guerra e il riarmo.

Gli interventisti se ne facciano una ragione. Chi si oppone alla guerra, chi chiede il disarmo, chi vuole investire in cultura e non in cannoni non è un vigliacco, non è un traditore, non è un disfattista, non è un collaborazionista. E’ una persona civile, razionale, umanista. Non siamo disposti a pagare una seconda volta, con politiche di lacrime e sangue, con la macelleria sociale, con il futuro dei nostri figli, le loro guerre, la loro follia.